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Ambiente
Chi inquina poco, subisce di più!

26-07-2024

Chi inquina poco, subisce di più!

Di cambiamento climatico e surriscaldamento globale se ne parla ormai, ‘fortunatamente’, da un po’ di tempo. Certo è che, se da una parte abbiamo imparato a capire cosa sono e quali sono i rischi per l’ecosistema, ci sono tuttavia alcuni aspetti che l’opinione pubblica e le istituzioni trascurano.

Fra questi, il fatto che il cambiamento climatico non può essere affrontare solo come un problema ambientale ma dev’essere affrontato anche come problema sociale, tanto che si potrebbe parlare di vere e proprie ingiustizie sociali legate al cambiamento climatico.

In tal senso, il cambiamento climatico rischia di compromettere i diritti fondamentali delle persone e delle comunità di tutto il mondo.

Colpisce tutti, ma alcuni più di altri. Le persone più colpite paradossalmente sono quelle che inquinano meno. Infatti, tra le principali vittime di ingiustizia sociale legata al cambiamento climatico ci sono tutti coloro che vivono in Paesi con economie in via di sviluppo.

Ne è un esempio il messaggio “stiamo affondando”, pronunciato da Simon Kofe, Ministro degli esteri di Tuvalu – uno stato insulare polinesiano che rischia di affondare. Nel video, trasmesso durante la Cop26 di Glasgow, il ministro si è mostrato sugli schermi con i pantaloni arrotolati alle ginocchia e i polpacci immersi nell’acqua, in un luogo dove un tempo si camminava e ora invece si nuota: “l’isola rischia di sparire. Volevo comunicare ai leader del mondo facendo loro un esempio concreto. Viviamo in un mondo interconnesso e le cose che fai da una parte del mondo hanno impatto su tutti”. [1]

Per le nazioni insulari, come Tuvalu, l’acqua sempre più calda e più alta comporterà ad esempio, maggiore erosione costiera e una quantità di sale nei campi tale da mettere in ginocchio l’agricoltura e tutte le risorse naturali a disposizione.

E gli abitanti di Tuvalu non saranno gli unici a dover lasciare la propria terra per fare i conti con questo tipo di conseguenze.

Secondo un report di Legambiente del 2023 ‘Umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate’, solo l’anno scorso abbiamo assistito a oltre 32 milioni di nuovi sfollamenti a causa dei disastri ambientali, il 98% dei quali legati ad eventi atmosferici come inondazioni, tempeste e siccità.

Entro il 2050, secondo il report, almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa del cambiamento climatico. L'Africa sub-sahariana sarà la regione più colpita, con 86 milioni di persone, corrispondenti al 4,2% della popolazione totale. Seguiranno l'Asia orientale e l'area del Pacifico con 49 milioni di persone, e l'Asia meridionale con 40 milioni. In Africa settentrionale si prevede la più alta percentuale di migranti climatici, con 19 milioni di persone, pari al 9% della sua popolazione, principalmente a causa della diminuzione delle risorse idriche.

Inoltre, secondo Legambiente, dal momento che le persone costrette a lasciare la propria terra a causa degli effetti della crisi climatica, prima di raggiungere altri Paesi si spostano all’interno del proprio territorio. È importante sottolineare che c’è un più alto rischio di diffusione di malattie e quindi un più alto tasso di mortalità (45.000 vittime solo nel 2023).

Trattandosi di persone che vivono in Paesi in via di sviluppo, e che quindi persone che hanno un’impronta ecologica molto bassa, è paradossale che siano proprio loro le principali ‘vittime’ del cambiamento climatico.  

Prendiamo ad esempio il caso dello Zambia,  Paese a sud dell’Africa dove l’ingiustizia climatica raggiunge il suo apice. L’impronta media di carbonio della popolazione si aggira intorno alle 0,36 tonnellate/abitante all’anno, meno di un decimo della media del Regno Unito. Nonostante ciò, lo scorso 29 febbraio 2024, il presidente Hakainde Hichilema ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per disastro naturale e siccità. Causato dal fenomeno meteorologico El Nino, “il prolungato periodo di siccità ha avuto un impatto negativo sia sulla sicurezza alimentare che su quella energetica dello Zambia.”

Lo Zambia, infatti, è colpito da una gravissima siccità in 84 dei suoi 116 distretti: la stagione delle piogge, che solitamente dura da ottobre a marzo, si è conclusa già alla fine di gennaio, provocando danni irreparabili ai raccolti agricoli. Per capire la portata del danno che tutto questo provoca, basti pensare che il 70% del totale del cibo in Zambia viene prodotto da piccoli proprietari terrieri.

Il cambiamento climatico e il surriscaldamento globale rappresentano quindi non solo una crisi ambientale, ma anche una crisi umanitaria che aggrava le disuguaglianze sociali ed economiche.

Così come quelli di Tuvalu e dello Zambia ci fanno capire che è fondamentale riconoscere che la crisi ambientale è intrinsecamente legata anche a una questione di giustizia sociale.

È essenziale che le politiche ambientali e climatiche future tengano conto delle disparità esistenti e promuovano un percorso di mitigazione delle diseguaglianze che sia effettivamente equo. Infatti, solo attraverso un approccio che integri giustizia sociale e ambientale possiamo affrontare efficacemente la crisi climatica e ridurre le disuguaglianze globali, garantendo che le persone più vulnerabili non continuino a pagare il prezzo più alto per una crisi che non hanno contribuito a creare.

 

 

 


 
[1] Tuvalu: l'SOS del ministro in mare, dove un tempo c'era terraferma. "Aiutateci, stiamo affondando"https://www.repubblica.it/green-and-blue/dossier/cop26/2021/11/09/news/tuvalu_il_messaggio_del_ministro_dal_mare_dove_un_tempo_c_era_terraferma_aiutateci_stiamo_affondando_-325723414/