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Ambiente
IPCC: l’organismo più autorevole in materia di cambiamento climatico

03-09-2024

IPCC: l’organismo più autorevole in materia di cambiamento climatico

Negli ultimi anni, quella dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è diventata una delle voci più importanti e autorevoli ogniqualvolta si parli di cambiamento climatico

Si tratta infatti del principale organismo internazionale per la valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici, istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) per dare al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dei cambiamenti climatici e su come influenzano tutti gli aspetti della nostra vita.

Il suo ruolo è riconosciuto a livello internazionale, ma non tutti sanno come riesce l’IPCC a fare tutto quello che fa – e a portarlo a termine in maniera così completa e approfondita. Determinante in questo è la sua organizzazione interna, formata da tre gruppi di lavoro e una Task Force collaborano a stretto contatto, seppur mantenendo ruoli specifici:

1° gruppo: si occupa di studiare gli aspetti scientifici del clima e dei cambiamenti climatici

2° gruppo: valuta la vulnerabilità dei sistemi naturali e socioeconomici, gli impatti dei cambiamenti climatici e le opzioni di adattamento

3° gruppo: indaga le possibili opzioni di mitigazione dei cambiamenti climatici (ad esempio limitando, contrastando e riducendo le emissioni dei gas a effetto serra nell’atmosfera)

Task Force: è il collante che tiene insieme tutti i pezzi e si occupa di raccogliere e diffondere i dati climatici in modo univoco, sfruttando una metodologia e software specifici e concordati a livello internazionale, per il calcolo e la rendicontazione delle emissioni delle sostanze inquinanti nell’atmosfera. In questo modo, la base di partenza per analisi e ricerche risulta essere uguale per tutti.

Le decisioni ufficiali, l’approvazione dei report, la definizione dei piani di lavoro e il budget a disposizione sono frutto della collaborazione di tutte le parti, che una volta all’anno si riuniscono in sessione plenaria sotto la supervisione del Presidente – che attualmente è Jim Skea, un climatologo e professore in Energia sostenibile presso l'Imperial College London. Il presidente ha il compito di coordinare e monitorare le operazioni di tutta l’IPCC, ma può contare sull’aiuto di molte parti esterne. I tre gruppi di lavoro e la Task Force, ad esempio, ricevono assistenza da apposite Unità di Supporto Tecnico (Technical Support Units – TSU) e, in generale, l’intero organo si avvale dell’intervento di un vasto numero di Enti ed Istituzioni.

Il lavoro svolto individualmente da ogni singola parte confluisce in resoconti ‘speciali’ e articoli tecnici su argomenti ritenuti di particolare interesse scientifico e ‘Rapporti di Valutazione scientifica’, cioè pubblicazioni periodiche sullo stato del clima e sull’evoluzione dei cambiamenti climatici nel breve e nel medio-lungo temine.

È questo il maggiore strumento di divulgazione nelle mani dell’IPCC. Dagli anni ’90 ad oggi l’organo è riuscito a pubblicarne sei (l’ultimo è stato diffuso il 20 marzo 2023), accomunati dallo stesso tema: il cambiamento climatico e come frenare la sua avanzata. Ogni documento – composto da migliaia di pagine – amplia e approfondisce quello precedente, ed è solitamente composto da due parti: la prima è più tecnica ed è destinata agli addetti ai lavori; la seconda è più discorsiva e riassuntiva perché destinata alla lettura da parte di persone che padroneggiano meno l’argomento. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante: l’obiettivo degli scienziati che affrontano questi complessi argomenti è proprio quello di raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile. Gli impatti del cambiamento climatico, infatti, sono causati da tutti, colpiscono tutti e possono essere mitigati da tutti. Esserne consapevoli è l’unico modo per poter intervenire in maniera efficace.

Ad esempio, nel suo sesto rapporto (pubblicato nel 2023) l’IPCC ribadisce che l’Europa deve più che dimezzare le sue emissioni se vuole contribuire a contenere le emissioni globali entro la soglia critica di 1.5°C. Significa che le nostre azioni determinano quanto accade nel resto del mondo e viceversa. E che solo una stretta collaborazione può portare decisivi miglioramenti per tutti. 

A tal proposito, gli scienziati spiegano chiaramente che non c’è più tempo da perdere, visto che il surriscaldamento del Pianeta con un aumento della temperatura media globale di 1.1°C rispetto all’era preindustriale (1850-1900), sta già avendo impatti diffusi e disastrosi che colpiscono la vita di miliardi persone. D’altronde le emissioni dei principali gas serra nel 2019 hanno raggiunto concentrazioni altissime (410 parti per milione per la CO2 e 1866 parti per miliardo per il metano) e l’uso di combustibili fossili è stato dichiarato la causa principale del riscaldamento globale. Secondo il rapporto, se non si pone rimedio attuando politiche più incisive e utilizzando energia pulita, potremmo arrivare a dovere fare i conti con 3,2 gradi in più entro il 2100. Questo comporterebbe un aumento dell’imprevedibilità degli eventi estremi, come siccità, incendi, e inondazioni, e della loro forza. 

Ma senza l’IPCC, probabilmente, ne saremmo meno consapevoli. Il suo è infatti un lavoro di vitale importanza: avere in mano dati concreti e proiezioni piuttosto realistiche è uno schiaffo in faccia che ci sveglia dal torpore. Renderci conto di quanto accade e quanto potrebbe accadere può salvarci la vita. Una ‘missione’ che nel 2007 è valsa all’IPCC l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace - condiviso con Albert Arnold Gore, un politico ambientalista statunitense - con la seguente motivazione: «Per l’impegno profuso nella costruzione e nella divulgazione di una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici antropogenici, e nel porre le basi per le misure che sono necessarie per contrastarli». Un’attività costante e preziosa, a cui ciascuno di noi deve molto.